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Tradizione dell'Argenteria
Fiorentina
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[ Pagina 4 di 4 ] Reliquari
preziosissimi, provenienti dalle botteghe granducali,
sono ora conservati nelle Cappelle Medicee a San Lorenzo,
opera di orafi eccellenti come Massimiliano Soldani
Benzi. Da ricordare è anche il paliotto
dell'altare della Cappella della Madonna, nella Basilica
di Santa Maria dell'Impruneta, risalente al 1692-1698 e
al 1711-1714, opera di Bernardo Holzmann e di Cosimo
Merlini su disegno del Foggini. Va fatto comunque
presente che costantemente a Firenze, dalla fine del
Cinquecento e per tutto il Seicento e anche dopo, si
distinsero due filoni di produzione argentiera: uno delle
botteghe granducali, sempre fastoso e aperto agli
influssi stranieri, sperimentale, raffinatissimo e di
stimolo; l'altro più tradizionale, che è
quello dei laboratori del Ponte Vecchio, rivolto ad una
utenza più comune, mentre forte per tutti fu il
fascino esercitato dall'argenteria romana, specialmente
dopo che il Granduca Cosimo III ebbe fondato a Roma, nel
1673 a Palazzo Madama, l'Accademia Medicea ove anche il
Foggini e Massimiliano Soldani Benzi compirono la loro
formazione. Estintasi la dinastia medicea, nel 1759 si
cercò di mettere ordine nella professione e
garantire l'onestà degli orafi, argentieri e
gioiellieri reimponendo, tra l'altro, anche l'apposizione
dei marchi sugli oggetti di buona lega in numero di tre:
dell'autore, del saggiatore e dell'arte per garantire che
i manufatti erano d'argento ed eseguiti con cura. Pietro
Leopoldo di Lorena, nel 1770, eliminò le Arti e
fondò la Camera di Commercio Arti e Manifatture
allo scopo di liberalizzare la produzione e i commerci
che erano sempre stati tenuti sotto controllo dal
protezionismo delle antiche corporazioni. Gravi furono i
contraccolpi perchè le condizioni dell'economia
del Granducato erano pesanti, ma la maestria degli
argentieri si mantenne all'altezza della fama di Firenze
nel mondo, considerata ovunque la capitale indiscussa
dell'arte e modello insuperabile per chiunque volesse ese |